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Filastrocche e indovinelli sammarchesi

FilastroccheDalla Presentazione di Francesco Granatiero
“... Alla presente raccolta di filastrocche, pregevole per accuratezza, ricchezza di materiali e correttezza di impostazione, va il mio plauso incondizionato, anche perché la sua preparazione ha permesso alla II G, a. s. 2002-03, l’acquisizione delle regole elementari della trascrizione del proprio dialetto, oltre che di una certa consapevolezza linguistica, e l’accostamento alla cultura popolare con i suoi risvolti di caratere sociale e pedagogico.”

Torino, marzo 2003

Francesco Granatiero

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Piccolo dizionario sammarchese

Piccolo dizionario sammarcheseDalla Presentazione di Michele Coco

“Le ragioni dell’utilità di questo dizionarietto sammarchese sono elencate dai suoi giovanissimi autori nell’Introduzione.

Esso è servito, prima di tutto, a far conoscere loro la nostra cultura, la nostra storia, le nostre tradizioni. E ciò attraverso la lettura di pochi (purtroppo) libri di poesia scritti in dialetto dai nostri autori, e attraverso le interviste a persone che ancora lo parlano o solamente lo ricordano. Quando queste persone non ci saranno più, resteranno quei pochi libri l’unico repertorio della nostra lingua madre. O libri come questo dizionarietto, o come quello dei Proverbi di Pasquale Soccio, o infine come la meritevolissima raccolta delle ricette culinarie di San Marco in Lamis, dovuta a Grazia Galante.

In verità noi non abbiamo una cospicua tradizione letteraria dialettale. E quella che abbiamo è relativamente recente. Gli autori più antichi sono Serrilli e Napolitano. Poi sono venuti Borazio, Tusiani, Aucello. Tusiani soprattutto, continua a sorprenderci, regalandoci, quasi ogni anno, un poemetto nel nostro vernacolo, come se avesse ritrovato una vena  che, iniziata a sgorgare con Làcreme e sciure è diventata sempre più fluente negli anni della lontananza.

Il dialetto, insomma, grazie a questi nostri autori, riesce a sopravvivere all’omologazione linguistica televisiva. E noi dobbiamo essere loro grati.

Il lavoro che qui si presenta ha sortito, inoltre, risultati validissimi sul piano pedagogico. I giovanissimi studiosi hanno imparato come si fa ricerca da soli o in gruppo, e hanno avuto la possibilità di allargare le loro conoscenze non solo nell’ambito della lingua madre, ma anche, attraverso l’esercizio della traduzione, nell’ambito della lingua colta.

Infine, i dizionarietto è stato allestito per gli altri, per “quelli che verranno dopo di noi”, e per coloro che non conoscono il nostro dialetto: duplice nobilissimo scopo. Potrebbe sembrare mera presunzione quella di volersi proiettare verso i posteri, ed è invece soltanto la legittima preoccupazione di chi vuole che le nostre parole, che poi dicono la nostra vita, non muoiano. E ancora l’orgoglio, altrettanto legittimo, di affermare la propria identità in un mondo in cui la globalizzazione tende a cancellarla.

Quella che i ventiquattro piccoli ricercatori hanno effettuato sotto la sapiente guida della loro insegnante Grazia Galante è un’opera altamente meritoria per i motivi che si è detto.. Ma è anche, per noi che non abbiamo perduto il gusto dell’uso, in certe occasioni, dell’espressione dialettale, un vero godimento....

Ben vengano, dunque, lavori di questo genere, e siano accolti con favore. Filologi e linguisti non arriccino il naso! Dopo tutto, essi sono il segno di un amore elettissimo alla nostra comune terra di origine.” (a. s. 2000/2001 Classe II G)

Michele Coco

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Li cunte - favole e racconti sammarchesi

LiCunteDalla Presentazione di Joseph Tusiani - New York, marzo 1999
“Credo in certe coincidenze. Avevo appena finito di rileggermi, dopo anni ed anni, le Piacevoli Notti dello Straparola quando mi è arrivata questa lieve raccolta di “Cunte” sammarchesi a cura degli alunni della Scuola Media “Francesca De Carolis” della mia Città natia. Me l’hanno inviata con preghiera di presentazione; e come potrei negarla, io che, da buon latinista, fermamente credo nel detto di Giovenale: Maxima debetur puero reverentia? E’ questa riverenza che mi fa addirittura sognare che da questi ragazzi emerga (e perché no?) un Giuseppe Pitrè della Puglia.
A differenza delle altre, la nostra Regione non ha ancora sentito il dovere di raccogliere e preservare dall’oblio le favole popolari di cui è ricco ogni nostro paese...
Ecco perché mi fa ben sperare l’opera di questi bravi alunni della “De Carolis”, ispirati dalla loro Professoressa d’Italiano, Grazia Galante. Con entusiasmo di pionieri essi hanno tracciato il primo solco. Ci sarà una seminagione? Ci sarà un raccolto? Me lo auguro. Essi, intanto, hanno già dimostrato una valentia davvero lodevole, considerando la loro inesperienza in un campo sì vasto ed arduo.
Hanno trascritto le favole ascoltate con una impressionante fedeltà alle varie fonti narrative, per cui viene trasmesso al lettore il senso più genuino della Fiaba, che è tutta e solo azione, azione rapida, azione pura; non v’è nulla, cioè, che sia rallentante descrizione o fronzolo ornamentale. Con fine intuito artistico hanno tutti, poi, sentito il bisogno di conservare, qui e lì, nei punti più vitali del racconto, il dialetto sammarchese, il che avviva e dà quasi il sigillo dell’autenticità al racconto stesso. Tutto questo non è da poco: anzi, è già tanto...
Grazie, dunque, gentili e cari alunni e alunne di mia terra....”

Scuola Media Statale "F. De Carolis" di San Marco in Lamis anni scolastici di insegnamento 1996 - 2008

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La cucina sammarchese

la cucina sammarchesePrefazione di Joseph Tusiani
“Gentilissima Professoressa Galante, c’è tanta verità nel detto: “Dimmi ciò che mangi e ti dirò chi sei.”
Poiché, nel corso di pochi anni, la nostra Italia è diventata nazione industriale e, come Lei ben sa, sta in tutto, anche nelle cose non buone, copiazzando la nazione industriale per antonomasia, che è l’America, è oggi di moda, nelle nostre città più laboriose, quali Milano e Roma, quel fast food, o cibo frettoloso, che caratterizza l’alimentazione del popolo statunitense. Ahimè, non si trova più il tempo di sedere a tavola a gustare le semplici delizie degli anni in cui tutto era genuino e salubre. Sono cambiate le cose e siamo cambiati anche noi.
Ecco perché plaudo a Lei e ai Suoi magnifici alunni per questo importantissimo capitolo della nostra civiltà sammarchese. Più che un ricettario gastronomico, Lei ci offre, con tratti essenziali e precisi, tutta la storia della nostra antica agricoltura. I Suoi alunni sapranno, un giorno, che ‘compagno’ è chi mangia lo stesso pane. E sapranno un’altra cosa ben più importante: attraverso la cucina i nostri emigrati sono rimasti attaccati alla terra d’origine.
E, a pensarci bene, c’è tanta squisita poesia nelle ricette da Lei elencate e, direi, strappate all’oblio. Ognuna di esse ricorda qualcosa di commuovente e di intimo, oltre alla parsimonia e alla saggezza della nostra gente: forse la mano delicata di una mamma o di una nonna, forse una festa, forse anche un funerale.
Dica ai Suoi alunni che il professore americano, che ieri ha avuto il piacere di rispondere alle loro domande sull’alimentazione, appunto, americana, torna ogni anno a San Marco per gustarsi un buon panecotte, ed è, dopo mezzo secolo di lontananza, più sammarchese che mai. Viva la “cucina sammarchese”! Joseph Tusiani

Questo libretto è stato premiato alla prima edizione della “Giornata del Gusto” indetta dall’Amministrazione Provinciale di Foggia e dal Consorzio Nazionale Prodotti Tipici di Fattoria

Scuola Media Statale "F. De Carolis" di San Marco in Lamis anni scolastici di insegnamento 1996 - 2008

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La lavorazione del salice

Salice“L’attività che ci ha visti impegnati per vari pomeriggi è stata la lavorazione del salice. Nostro insegnante è stato il sig. Leonardo Marchitto di 83 anni, che ci ha fatto sapere che ha imparato a intrecciare il salice quando aveva 8/9 anni grazie all’insegnamento del padre...

Leonardo, quando veniva a scuola ci raccontava tante cose. Da lui abbiamo saputo che a San Marco in Lamis c’erano una quarantina di persone che lavoravano il salice e anche il legno per farne degli oggetti utili per la casa. Erano quasi tutti pastori e potatori che, durante lo svolgimento della loro attività, se trovavano un bel pezzo di legno, lo conservavano per ricavarne poi nu daccialarde (tagliere), nu lavature (asse per lavare a mano), na stila de zappa (il manico di legno della zappa) ecc.

Attraverso una ricerca fatta da noi, abbiamo saputo che ci sono circa trecento tipi di salice. Quello che noi abbiamo utilizzato per fare dei cestini è il Salix viminalis che, come ci ha detto Leonardo, sta quasi scomparendo nella nostra zona per via dell’abbandono delle campagne e anche per colpa degli animali che vivono allo stato brado che distruggono tutto.  

I rami di questa pianta vengono tagliati a marzo e ad agosto e vengono subito decoticati e fatti asciugare al sole per conservarli bianchi. Prima della lavorazione bisogna metterli in ammollo per alcune ore per poterli piegare a piacimento nella realizzazione di cestini, cesti, canestri per la frutta, impagliate e sottopentole di varie misure e forme.

Leonardo ci ha detto che prima dell’arrivo della plastica i cestini di vimini erano molto richiesti in quanto servivano sia in casa sia in campagna per mettere dentro quasi tutto ciò che si produceva. Le donne li utilizzavano per mettere la biancheria da stendere, per trasportare il pane al forno per la cottura e poi per mettere dentro alcune provviste. Quelli che li realizzavano guadagnavano poco per cui lo facevano come secondo lavoro che veniva svolto nel momenti liberi e soprattutto d’inverno quando in campagna non si poteva lavorare.

Oltre ad aver realizzato dei cestini e dei sottopentola che terremo per ricordo, questa esperienza è stata fantastica perché ha permesso l’incontro tra due generazioni. Noi con Leonardo ci siamo sentiti più grandi e lui con noi più giovane....”

Dalla Relazione della classe III A della Scuola Media Statale “G. Pascoli” dell’a.s. 1995-96

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  • Ogne recchézza dalla tèrra viène, ogne allegrézza dallu còre viène.
    image Ogni ricchezza viene dalla terra, ogni gioia viene dal cuore.
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